Cappotto contemporaneo

Le parole sono importanti, come diceva Nanni Moretti, ma il problema è che sono scivolose. Ingannano, spesso si deteriorano. Alcune scompaiono, altre dominano, altre ancora restano vive, ma con il compromesso di cambiare significato. Proprio vero. E’ che, però, ultimamente siamo ormai assediati dallo stravolgimento del senso di alcune parole a cui tutti attribuivano il medesimo significato ed oggi invece hanno una valenza diversa. Di recente, per esempio, si fa un gran parlare di cappotto. Non per la stagione corrente. Non del cappotto che si indossa d’inverno, per rimanere caldi. No. Non di quell’ indumento di moda che ha segnato usi e costumi, inverni freddi e viaggi in aereo, auto polverose e copioni hollywodiani, guerre drammatiche e rinascite economiche. In versione militare, minimalista, avanguardista o rétro, massimalista, decorato, imbottito o sfoderato. Maschile o femminile. No, non si parla dell’indumento iconico indossato dall’audace Marlon Brando ne “L’ultimo tango a Parigi”, che da pischello ho anche tentato di imitare, (indossando alla stessa maniera il cappotto…., cosa avevate capito?). E nemmeno di quello del racconto di Gogol che narra la vicenda del poverocristo Akakij Akàkievič Bašmàckin che appena riesce a farsi confezionare un cappotto come voleva lui glielo ciulano e muore di freddo e di crepacuore. Mannaggia, no, non di quello! Nemmeno del mio primo cappotto rosso di panno spesso che i mei recuperarono alla San Vincenzo un Natale della fine degli anni ’60. Mi sentivo una star, un bambolotto, un modello. Da lì in poi, pensate, per molti anni ho sempre creduto che San Vincenzo non fosse un Santo, ma un sarto. Zioffà! Un sarto un po’ strano, ma generoso, che ogni tanto mi aiutava, confezionandomi vestiti non proprio di misura però. No, oggi si fa un gran parlare di cappotto che con gli indumenti non ha nulla a che fare. Se clicchi cappotto su Google ti esce per primo “cappotto termico montato sugli edifici….., usato ormai correntemente nell’edilizia, nell’architettura e nel settore immobiliare”. Grazie anche al superbonus del 110%, aggiungo io. Ci avete fatto caso? Le nostre città oramai sono piene di cantieri che cappottano, “a gratis”, le nostre case, evitando di farle ammalare. Devo ammettere che il “cappotto” di oggi è un’ottima occasione per riqualificare alcuni esempi di architettura del passato che non si possono guardare: a quelli sì che il “cappotto” dovrebbero obbligarglielo. La delusione più grande però sulla fine del senso originale della parola cappotto me l’ha servita Enrico, mio figlio, che qualche settimana fa, guardando un servizio giornalistico alla tivù sull’opera postuma dell’artista Christo circa l’impacchettamento dell’Arco di Trionfo a Parigi mi fa: “ Pà, gli hanno fatto il “cappotto”! Azzz!!

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